sabato 3 dicembre 2011

Se il museo non funziona cerca in strada

Fino a vent’anni fa i Marziani non avevano biblioteche. Inviarono una delegazione sulla terra per esaminare le nostre e istituire, al rientro, un sistema analogo su Marte. Qualcosa però sembra non sia andato per il verso giusto (…) in ciascuna sala di lettura i libri di particolare pregio sono montati su speciali supporti, contro una parete e dietro una grata che tiene i lettori a circa un metro e mezzo di distanza (…) infine non ho capito perché il negozio all’ingresso fa affari d’oro vendendo piccole (e naturalmente illeggibili) riproduzioni in gesso dei libri più amati”. 
Questo è il trip del Professor Rompiglioni [in N. Goodman, Art in theory, art in action, 1984]. Se lo guardiamo da una prospettiva alienata, la struttura del museo al quale ci siamo abituati fa un po’ sorridere. A volte somiglia più ad un carcere, che tiene le opere sotto chiave e trasforma noi visitatori in possibili criminali. Oppure una sorta di protezione testimoni, che però a queste opere-testimoni chiude la bocca. Parlano gli apparati documentari, le etichette, le didascalie, parlano i video esplicativi, parlano le brochures…Ma le opere parlano?


Certo, i musei d'arte contemporanea di ultima tendenza sono più furbi: spesso puoi toccare, interagire, alcune stanze aspettano proprio il tuo arrivo e magari una tua performance... ma qui intendo il museo classico. Madrid, Reina Sofia, stanza di Guernica. Alzi la mano chi ce l'ha fatta a fare una profonda esperienza estetica. Nessun intoppo? Intanto riuscire ad arrivarci davanti al quadro, poi la folla di turisti che dall'altra stanza scatta foto all'impazzata (perché farle da lì è vietato, e c'è l'hostess di guardia a ricordartelo), poi la guida che ripete la stessa litania al suo folto gruppo di discepoli 50enni, poi dei cyborgs con cuffie e strani marchingegni. Tutto molto buffo, o molto finto. Se aggiungiamo matitine e cartoline all'uscita, quasi una Disneyland, ma meno divertente. 


E non è certo colpa di Picasso!

"Un quadro vive in compagnia, dilatandosi e ravvivandosi nello sguardo di un visitatore sensibile. Muore per la stessa ragione" [Mark Rothko, Writings on art].

L'opera d'arte non “funziona” senza di noi, la nostra percezione, la nostra interpretazione. Se stiamo lì a fotografarla come fosse un animale allo zoo, perde il suo spirito, o viceversa noi perdiamo lei. Immaginiamo di uscire dal museo senza perdere la curiosità che ci aveva spinto ad entrarci. La città come un museo a cielo aperto? Meglio: niente catalogazioni, niente biglietti, molte meno regole, file, guide e tanta più casualità, sorpresa. Un saltino da Madrid a PamplonaQuesto è quello che ha visto il mio amico Tek (la sua foto è il primo contributo che Patate&Cipolle riceve, speriamo non sia l'ultimo!). 

Avvistamento del 2007, sulla porta dell'arena di Pamplona, dove in estate termina l'Encierro.

Lasciatemi vivere”. Parla il toro della tradizione spagnola, oggi che le sorti sembrano essersi rovesciate: l'uomo e le sue corride ci sembrano brutali e primitivi, non il toro. Il toro richiede “umanità”, e ci implora uno stop proprio all'entrata. Lo sfondo rosso è perfetto per schizzare un'invettiva alla tradizione. C'è sempre un po' d'amore quando ci si ribella.






Vi lascio con una mia scoperta (scusandomi per la qualità della foto). Un paio d'anni fa ho trovato una Pietà su un muro parigino. Una street version nell'epoca del consumismo, ma non meno potente di quelle conservate nelle chiese o nei musei. Secondo me una composizione classica, che entra a pieno titolo nella tradizione (forse per riderci sopra, meglio ancora). Madonna Coca-cola, Cristo Coca-cola e noi i fedeli. Fidelizzati, ma non ancora persi.


Buon week end. Claire


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