Questo è il trip del Professor Rompiglioni [in N. Goodman, Art in theory, art in action, 1984]. Se lo guardiamo da una prospettiva alienata, la struttura del museo al quale ci siamo abituati fa un po’ sorridere. A volte somiglia più ad un carcere, che tiene le opere sotto chiave e trasforma noi visitatori in possibili criminali. Oppure una sorta di protezione testimoni, che però a queste opere-testimoni chiude la bocca. Parlano gli apparati documentari, le etichette, le didascalie, parlano i video esplicativi, parlano le brochures…Ma le opere parlano?
Certo, i musei d'arte contemporanea di ultima tendenza sono più furbi: spesso puoi toccare, interagire, alcune stanze aspettano proprio il tuo arrivo e magari una tua performance... ma qui intendo il museo classico. Madrid, Reina Sofia, stanza di Guernica. Alzi la mano chi ce l'ha fatta a fare una profonda esperienza estetica. Nessun intoppo? Intanto riuscire ad arrivarci davanti al quadro, poi la folla di turisti che dall'altra stanza scatta foto all'impazzata (perché farle da lì è vietato, e c'è l'hostess di guardia a ricordartelo), poi la guida che ripete la stessa litania al suo folto gruppo di discepoli 50enni, poi dei cyborgs con cuffie e strani marchingegni. Tutto molto buffo, o molto finto. Se aggiungiamo matitine e cartoline all'uscita, quasi una Disneyland, ma meno divertente.
E non è certo colpa di Picasso!
"Un quadro vive in compagnia, dilatandosi e ravvivandosi nello sguardo di un visitatore sensibile. Muore per la stessa ragione" [Mark Rothko, Writings on art].
L'opera d'arte non “funziona” senza di noi, la nostra percezione, la nostra interpretazione. Se stiamo lì a fotografarla come fosse un animale allo zoo, perde il suo spirito, o viceversa noi perdiamo lei. Immaginiamo di uscire dal museo senza perdere la curiosità che ci aveva spinto ad entrarci. La città come un museo a cielo aperto? Meglio: niente catalogazioni, niente biglietti, molte meno regole, file, guide e tanta più casualità, sorpresa. Un saltino da Madrid a Pamplona. Questo è quello che ha visto il mio amico Tek (la sua foto è il primo contributo che Patate&Cipolle riceve, speriamo non sia l'ultimo!).
“ Lasciatemi vivere”. Parla il toro della tradizione spagnola, oggi che le sorti sembrano essersi rovesciate: l'uomo e le sue corride ci sembrano brutali e primitivi, non il toro. Il toro richiede “umanità”, e ci implora uno stop proprio all'entrata. Lo sfondo rosso è perfetto per schizzare un'invettiva alla tradizione. C'è sempre un po' d'amore quando ci si ribella.
Buon week end. Claire
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