sabato 4 febbraio 2012

Postgraffitismo o graffiti al posto giusto?

"Nevica sempre, governo monotono!" Draghi Ribelli
[Parentesi che potete skippare: E' sabato, nevica che i Maya la mandano, e io devo ancora fare l'igloo (tradizione d'infanzia) perché il mio ragazzo non c'è questo week end. Nei miei piani, lui riempiva le cassette di neve per fare i mattoni, mentre io più che altro guardavo entusiasta ripetendo "dai così, che bello, facciamo l'igloo". Quindi niente igloo. Chiudo la parentesi neve con quest'ape inquietante che ho adottato per un pò, attirandomi gli insulti di tutti i colleghi, tranne Thzo: "Regaliamola ad un'associazione teatrale". Ma la sua filosofia sostenibile si scontrava con la neve esagerata e la mezzora di tempo, perciò il sogno è morto vicino ai cassonetti. R.I.P. apetta maledetta.]




Di che parla questo post? Che c'è sotto la coltre di neve? (sotto il "velo di Maya"?)


Trattasi di cazzeggio riflessivo. Questi giorni a Bolo c'era una mostra di street art. Ma non dovrebbe stare nelle streets, la street art? Sono d'accordo. Ma preciserei: dovrebbe stare nel suo ambiente, non necessariamente esterno. Nel post di capodanno vi ho mostrato una casa-museo del writing ascolano, che vede nascere le opere al suo interno e poi le ospita negli anni. Non solo non ne tradisce il significato originario, ma le creazioni risentono della sua atmosfera e ne traggono ispirazione. Ecco, la Corte Isolani invece non è affatto così, essendo una delle zone più 'belle' (leggi: borghesi e chic) di Bologna. Questo è il blog della mostra Tag indelebili, così vi fate la vostra idea (a scanso di equivoci, Patate&Cipolle non è un blog di recensioni). 
Sicuramente in questa mostra c'erano bei pezzi di artisti di talento...però se ci ripenso divento un pò triste. Perché il mondo dell'arte ufficiale ha fagocitato la street art (forse pure da una trentina d'anni), e gli artisti ne sembrano tutti contenti. Recitano a memoria le analisi interpretative della loro opera, utilizzando la stessa terminologia che usa la critica classica. In galleria non solo viene meno l'illegalità, parte fondamentale di questa cultura, ma si perde il contesto e quindi il senso di certe azioni e certi stili. E insomma, si va sempre più a braccetto col potere (sia esso rappresentato dai musei o dalle maisons di moda, dal design o dall'industria discografica).






E allora dove vanno a finire l'antagonismo, la controcultura? Con cosa ci ritroviamo? Lo chiamano postgraffitismo.
Miss Van all'Arte Fiera 2012






Come si fa a mantenere la spinta sovversiva, come impedire all'identità di sopprimere l'alterità?
Non lo so, mannaggia a me! Ci vorrebbe anzitutto un altro vocabolario per parlare di una cosa altra. E altre forme di esposizione, comunicazione. 
Il documentario "dal di dentro" mi sembra funzionare, perché è mimetico...e tra i luoghi d'esposizione che non rendono il pezzo un fake, mi vengono in mente i centri sociali... 


Poi ripenso alla casa del mio amico, e mi sembra quasi la dimora di un'utopia, un 'nessun luogo' che ha preso luogo. E mi torna il sorriso: quello sì che è il posto giusto per un pezzo di street art. Niente calici di champagne. Da bere te lo porti tu, i pennarelli li trovi già lì. Non solo non paghi per assistere alla performance degli artisti e niente è in vendita, ma potresti anche beccarti una pizza cotta su forno a legna, mentre quello di fianco a te ti racconta dell'ultimo treno che si è fatto. Trovato. Welcome home.


[Keep it real] 

2 commenti:

  1. finalmente torna a galla lo stile..brutalizzare il linguaggio amplia l'eco delle parole ma ne restringe l'impronta;)daje miticaa

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    1. Grazie del supporto, e soprattutto del commento (terra fertile per Patate e cipolle). Buon week end!

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