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mercoledì 4 febbraio 2015

Nei panni degli altri: filosofia del vintage


Si' ok sono stata alla Vintage Selection di Firenze a fare un paio di foto, e ci ho scritto sopra un pezzo che potete leggere sulla webzine Bolognina Basement. 

clicca qui> Nei panni degli altri: filosofia del vintage


Nei panni degli altri: filosofia del vintage
un Dilf in cerca di Fedora alla Vintage Selection

Pero' se qualcuno si azzarda a darmi della fashion blogger giuro che gli stacco la lingua a morsi. E poi me l'appendo al collo: ho sentito che le lingue sono il nuovo trend tribal-chic della primavera/estate 2015.

Street&Love

Claire




martedì 4 novembre 2014

Kintsugi per tutti!

Sta per uscire il progetto di due carissimissimi amici musicisti!
lettering by Delli KMaiuscola
Ho avuto il piacere di ascoltare in anteprima qualche produzione e di conoscere 
da vicino molti degli artisti che hanno collaborato a questo primo album ufficiale.
Ecco perché volevo assolutamente scriverne. Ecco perché quasi non riesco a scriverne.
(C'e' troppo cuore!)
Cuore kintsugi by Cligno
A proposito di cuore 
dietro il concept del disco c'è un gran messaggio che vorrei condividere con tutti voi.


Nella vita a volte cadiamo a pezzi come tazzine di ceramica, e ci sentiamo da buttare via. 
Come ritrovarsi? Ve lo insegna la filosofia kintsugi. 

Far pace con le proprie imperfezioni, riscoprendone la bellezza. Accettare la fragilita' come un bene prezioso di cui prendersi cura. Esibire con fierezza le ferite e le sconfitte, perche' il nostro passato ci ha reso quelli che siamo: traiettorie irripetibili di voli e cadute. 

Riparare alla kintsugi e' insieme un trasformare e un tenere traccia.

Difficile saldare tutte le nostre spinte in una persona sola, difficile riconoscersi dopo una rottura, difficile non perdersi qualche pezzo per strada... Alcuni di noi sono fatti per costruire e conservare, altri sono piu' inclini a distruggere e ricominciare: ma il kintsugi mette d'accordo un po' tutti perche' e' un ri-creare, partendo da cio' che e' andato distrutto.


Il filo d'oro e' l'ordine che diamo ai nostri disordini, e' la trama della nostra storia.  




In Masters of Kintsugi troverete nomi noti della scena hip hop italiana come Murubutu, di cui ho gia' scritto qui, 
 Claver Gold per cui ho scritto qui e quiBrain di cui ho scritto di qua e i maiuscolissimi Fulo e Delli. Ci sono anche le nuove leve di On The Move, il collettivo bolognese da cui è partito  tutto. C'è la Bologna che ho lasciato senza smettere un secondo di amare... ma soprattutto c'e' il talento di Davide ed Ema che hanno curato questo lavoro come fosse un artigianato di kintsugi. Manifattura musicale che si ribella al consumismo usa e getta? Marxismo in chiave zen? Chissa'! Ma non mi sorprenderei se il percorso estetico che li ha portati all'album fosse stato anche un cammino spirituale...

(Allora vecchi miei, ora che avete messo insieme pezzi d'oro, fateceli ascoltare!!)


Più Kintsugi per tutti ;-)
Claire

Ascolta il promo ufficiale mixato da DJ Lugi

lunedì 5 maggio 2014

Selfie post mortem

[Ultimamente ho pubblicato cose senza pretese, cioè senza nemmeno la pretesa che qualcuno le leggesse. Questo invece è un post stile vecchi tempi e lo dedico a chi col suo commento mi ha fatto tornare la voglia di scrivere (di pensare).]

Non avete anche voi l'impressione che, proprio nell’era della connessione, soffriamo di una qualche forma di autismo 2.0? E uso la parola autismo in senso etimologico .


Magari facciamo un passo indietro. Potremmo dire che la specie umana è egocentrica (antropocentrica) per costituzione. Non dimenticate che per millenni abbiamo preteso che il sole girasse intorno a noi, e che gli dei fossero fatti come gli uomini (o noi come loro). Quindi ok, l’egocentrismo ognuno di noi ce l’ha nel DNA. Ce lo dice anche la psicologia dell'infanzia: nasciamo egocentrici. Ma credo che l’individualismo promosso dalla nostra società (leggi economia) povera di collanti etici e di ampie visioni filosofiche l’abbia incentivato. E che il mondo digitale gli abbia tolto un pò di 'realtà' da sotto i piedi, radicalizzandolo.

Anche dire che il Narcisismo sia sempre esistito è un truismo, visto che gli presta il nome un mito greco. Ma al dispositivo dello specchio oggi se ne sono aggiunti innumerevoli. Con questi iDispositivi l'immagine di Narciso si riflette in modo esponenziale, e se ci aggiungete i filtri di instagram, questo Narciso non riesce più a smettere di farsi le pippe sul suo stesso autoscatto.

Il selfie è per gli altri o per sé stessi?

La mia umile teoria (e qui torniamo all'autismo) è che i nostri autoscatti non siano un esporsi all'altro, non abbiano cioè come 'intenzione' quella di mostrare agli altri ciò che si è, ma piuttosto di mostrare a noi stessi come saremmo per gli altri. 
Ma se sviluppassimo ulteriormente quest'ipotesi iniziale?
Il selfie sono io come se mi vedessero gli altri (ma solo se gli altri vedessero come pretendo io, cioè se gli altri fossero come li vedo io) quindi pilotando il selfie posso cambiare (migliorare) l'immagine che io e gli altri abbiamo di me (perché in fondo assumo che gli altri sappiano e vogliano mettersi al mio posto). Alla fine questi altri non sono che una mia proiezione, il pubblico principale resto io, ed è il mio sguardo (su di me) che conta. Tutto resta all'interno del sé.


Nei social networks siamo come tante piccole monadi, se mi consentite di abusare di Leibniz (poverino, che ne poteva sapere lui di facebook?!). Secondo la mia azzardata Monadologia della rete, al mondo virtuale manca la res estensa, la corporeità come campo intersoggettivo in cui io e te ci ritroviamo e possiamo condividere. Manca la percezione come contatto tra un io e l'altro. Una volta ridotti a entità rappresentanti, nella rete siamo irrimediabilmente soli e finiamo per essere entità autorappresentanti. Anche il mondo esterno è un'autorappresentazione (pensate alla vostra home di facebook, la vostra personale finestra sulle altre monadi). Se tutto è (mia) rappresentazione, se spazio e tempo sono solo miei concetti, perché non riplasmare questa rappresentazione ad libitum??

Al dilemma ontologico "esisto nel mondo digitale?" rispondiamo con un autoscatto. "Selfo quindi sono", con buona pace di DescartesE come in Second Life, già che ci siamo ci cambiamo un pò il modo di esistere. C'avevate mai pensato che la scelta di un Avatar è in fondo un'opzione metafisica?

E se il nostro mondo culturale diventa sempre più visuale (persino i quotidiani oggi sembrano delle gallerie fotografiche con qualche slogan) anche la costruzione della nostra identità passa attraverso le immagini. Per usare una metafora anni '90, oggi siamo il nostro album di foto, più che il nostro diario segreto. Creare una ‘narrazione’ del sé (e per il sé) somiglia sempre di più a creare dei moodboard

E quindi torniamo all’autoscatto. Cosa distingue il selfie dall'autoritratto


Ho fatto una rapida carrellata mentale (e per esempio mi sono accorta che quelli di Schiele somigliano a dei Selfie per come l'artista posa con le mani e le espressioni...) ma ecco, mi pare che ciò che differenzia l'autoritratto sia l'intenzione: la ricerca di autenticità/profondità. L'autoritratto è l'esito di un'esplorazione di sé. Apre a qualcosa, implica uno sguardo 'altro', lo 'scarto' dall'apparenza immediata.

Il linguaggio dei social invece non trasfigura mai, al contrario banalizza. Non squarcia nessun velo, piuttosto dà a qualunque messaggio la stessa patina e così facendo lo depotenzia.


Inoltre l'autoritratto della tradizione era un oggetto materiale che si muoveva nel mondo reale, fosse esso un quadro, un disegno, un video o una fotografia. Era fatto per il pubblico là fuori, per un tempo che era quello condiviso, addirittura per durare anche nel futuro.

 Quanto dura un selfie nell'intenzione dell'autore? E cosa ci mostra del soggetto? Del suo strano pubblico poi abbiamo già parlato...

Ma ehi, non volevo angosciarvi! E comunque tutto passa e c'è pure chi questo cambiamento lo vede già in atto e lo battezza #normcore (il mio scetticismo viene dalla convinzione che cambiamenti di questo genere non avvengano alla velocità della moda, ma ne riparleremo).
Magari i nostri selfie un giorno faranno l'effetto che oggi ci fanno le fotografie post mortem dell'epoca vittoriana. 
Creeeeepy

[ecco, ora sì che vi ho angosciato! ma se qualcuno è davvero arrivato fin quaggiù, è pregato di avvisarmi così almeno lo ringrazio!]


giovedì 31 ottobre 2013

Perché la Trash è la musica dei morti

Sono consapevole degli insulti che mi beccherò con questo post scritto d'istinto, ma non posso più sopportare in silenzio. 
 E`arrivata la notte di Halloween e a Bologna, ma forse in tutta Italia, significa solo una cosa: serate trash ovunque.
Penso che l'egemonia della trash nello svago serale mainstream sia ormai chiara a tutti. Quello che a me non è chiaro è il perché la cosa non dia fastidio a nessuno. Anzi, il trash party viene spesso considerato l'evento a cui tutti possono partecipare almeno una volta, perché un pò "per tutti i gusti" ti dicono, perché "dai ci si diverte" senza prendersi sul serio, perché si abborda facile, perché nessuno ti giudica e puoi concederti i look più imbarazzanti, perché non si richiede competenza musicale né tantomeno di saper ballare, basta solo essere ubriachi e avere tanti bei ricordi.
E sì lo so che c'è trash e trash, ma è proprio questo grande calderone che mi spaventa.
Dovete sapere che ogni volta che qualcuno nomina le serate trash, da qualche parte c'è una Claire che muore dentro. Nel senso che questo tipo di serata, ritenuta così gioiosa e spensierata, a me fa davvero pensare alla morte. Mi intristisce, mi deprime e mi nausea. Oltre a farmi sentire sola nell'universo, perché tutti gli altri esseri umani vicino a me sembrano apprezzarla. Perciò dopo anni di disagio, mi sono detta che le opzioni sono due: o io provengo da una razza aliena oppure nel DNA trash c'è qualcosa che non va... e il suo riprodursi esponenziale significa qualcosa. Posso provare a codificarlo senza che mi impalate? Quello che vedo al mio microscopio è un desiderio di passato, un bisogno di regressione, uno sfogo dell'inconscio, un istinto a mitizzare, un rito scaramantico, una tendenza conservatrice, un desiderio di evasione, un'illusione collettiva....

Conoscete l'etimologia della parola NOSTALGIA? Viene dal greco: "dolore del ritorno". La nostalgia descrive uno stato psicologico di dolore o rimpianto per un passato che si vorrebbe rivivere. Niente da ridere, dunque, nei vostri nostalgici revival!
State pensando che se me la vivo male è perché non ho un rapporto del tutto risolto con la mia infanzia o la mia adolescenza? Ve lo concedo! Ma non mi sembra questo il punto. Il punto è che la trash ci fa tornare tutti indietro, invece di andare avanti. E più serate trash ci sono, meno restano le alternative.

Dov'è finita la musica sperimentale? E la musica militante? La musica del futuro dov'è?

Perché il sabato sera dovrei ascoltare musica che mi parla di ieri e mai musica che mi parla di domani? Cos'è, il lunedì fa troppa paura? Allora troviamo il coraggio di affrontarlo, partendo dalla musica. Basta nostalgia e fanculo gli anni '80.
Me la pianto per oggi. Dopotutto per festeggiare i morti la trash è l'ideale. Ma la prossima volta che decidete di boicottare una serata trash, sapete chi chiamare.
Peace&Hardcore
Claire
[Grazie Sean, evidentemente tra un bicchiere e l'altro non è solo l'inglese che mi hai insegnato ;-) Non vedo l'ora di affrontare un altro topic! ]

giovedì 11 luglio 2013

Picasso baby vs Guantanamo bay

PREMETTO che l'arte è la mia più grande passione da sempre. L'ho fatta diventare il mio percorso di studi, la meta dei miei viaggi, il primo dei miei interessi e l'argomento centrale delle mie conversazioni. Ultimamente mi sono dedicata alla street art e ai graffiti (pur riconoscendo che questi fenomeni sono già in fase di sputtanamento) perché mi irrita lo status del mondo dell'arte, e ancora di più l'atmosfera delle gallerie d'arte contemporanea. Perché vicino a me vedevo sempre snob fuori dal mondo, con vestiti che costavano più delle opere (già sopravvalutate da logiche commerciali).
Va aggiunto che nel frattempo mi ero innamorata di un rapper underground, e da lì ho imparato a conoscere ed apprezzare un tipo di hip hop, certo non quello che si vede in tv (il buongusto non l'ho ancora perso, e nemmeno il femminismo).

Ecco perché l'evento che sto per raccontarvi mi ha disgustato due volte...
Jay-Z e Marina Abramovic. Cavoli e nutella, sneakers col tacco, Fabio Volo che fa filosofia, sono tutte coppie ossimoriche che mi stanno frullando in testa per cercare di descrivere il fenomeno e l'effetto che mi fa. Ma perché oggigiorno finisce tutto in trashata? Perché bisogna sempre STRAfare?

E` la morte della performance, qualcuno ha detto. Pure quella dell'hip hop se vogliamo, che ormai è un gioco di imprenditoria, e con la storia del fagoCitare (i produttori campionando vecchia musica, i writer con i puppets, gli mc rimando sulla tradizione letteraria) si è finito per esagerare, cioè per sminuire tutto. Voglio dire: può essere tutto molto figo, ma devi farlo bene. Lo devi aver letto un libro prima di citarlo. La dovresti conoscere l'arte prima di comprarla o di farci sopra una pagliacciata.

Che poi il postmoderno è finito da un pezzo.

La tradizione della performance era una cosa seria, non una trovata da guerrilla marketing per vendere più copie. La performance non è uno spettacolo come i concerti di jay-z, ma l'esatto contrario: un'azione autentica nel mondo reale.

Che poi eravate voi rapper a ripetere "keep it real".

Insomma a me sembra che con quei goffi passetti, Marina e Jay abbiano danzato una penosa danza della morte al ritmo di Picasso Baby (è questo il titolo del brano, e nel testo ci sono più nomi di artisti che parole di senso compiuto). Alla faccia della realtà, Jay-Z ha cantato persino in playback... di performativo se vuoi c'era la durata: 6 ore di spaccamento di palle.

Questo senso di morte riporta la mia mente al video di sensibilizzazione di Mos Def . Ok sarò di parte, visto che preferisco 1000 volte Yasiin Bey a Jay-Z, ma almeno dobbiamo riconoscere che qui c'è un messaggio da comunicare, una realtà nuda e cruda da denunciare: i detenuti in sciopero della fame a Guantanamo e l'atrocità dell'alimentazione forzata.

La differenza tra le performance dei due rapper starebbe solo nel loro posizionamento commerciale? Uno per i fighetti amanti di Keith Haring e delle Louis Vuitton, e l'altro per un pubblico più conscious, Marx in mano ed espadrillas ai piedi? A voler essere cinici si può anche vederla così, ma intanto TECNICAMENTE quella di Mos Def rispetta di più i canoni della performance. Per cominciare si è davvero fatto infilare un tubo su per il naso. Se poi il suo pianto fosse vero non posso azzardare a dirlo, visto che il rapper è diventato un attore professionista. Ma qui, ripeto, c'è lo shock della realtà. Questo video ti dice "svegliati" anzi ti dà proprio uno schiaffetto. Cosa c'è dietro all'ambaradan di Jay-z? Un geniale imprenditore senza dubbio. E il nulla, fotografato e filmato a ripetizione. Se vogliamo vedere l'opera d'arte, dobbiamo concentrarci sul pubblico e i loro smartphone. L'opera allora sarebbe l'insieme dei filmati prodotti e riprodotti dagli stessi telefoni che magari hanno scaricato in anteprima l'album di jay-z, divenuto disco di platino prima ancora di uscire, grazie ad un accordo milionario con samsung. Jay-z ha cavalcato l'era degli smartphone e della pirateria: questa se vuoi è la sua performance invisibile. E questo articoletto di periferia entra a tutti gli effetti nella sua grande opera relazionale (tutto è pianificato e ben accetto, purché se ne parli, purché si venda).
 Jay-Z vaffanculo a te.

martedì 19 marzo 2013

MELANCHOLIA

Sabato sono stata alla retrospettiva su Bas Jan Ader, un artista che ha trasformato persino la sua lapide in arte concettuale  (Winschoten 1942, Oceano Atlantico 1975). Forse il più grande capolavoro realizzato da Bas Jan è stato la sua morte: una performance fino alla fine (fino alla fine del corpo, che non è mai stato ritrovato).  Nella sua vita due naufragi e tante cadute

Partiamo da quelle. Sfidare la gravità probabilmente è una partita persa in partenza (Icaro docet). Ed ogni caduta è comica o tragica, dipende dai punti di vista... così quelle di Bas. Arrampicarsi sul ramo più alto, ciondolare e infine lasciarsi cadere a terra. Che c'è di razionale nel lanciarsi dal tetto di casa propria? La gravità... è ciò che ci tiene attaccati a terra, che ci trattiene dal volare, che ci schiaccia. 

La sera prima della visita alla mostra (per caso?) avevo deciso di guardare per la terza volta Melancholia di Lars Von Trier, forse il primo film in cui "un pianeta che minaccia la terra" mi ha toccato così nel profondo...
Malinconia. Un concetto evidenziato più volte nella mostra di B.J. Ader che, guarda un pò, si intitola "Tra due mondi". 

Bas e Lars, due artisti nati sotto Saturno. Cosa li lega? Perché la poetica dell'uno mi ha rimandato a quella dell'altro?  

"I desired to dive headlong into the abyss of german romanticism. Wagner in spades(...)But is that not just another way of expressing defeat? Defeat to the lowest of cinematic common denominators?" 
 Lars Von Trier (a proposito del film Melancholia), 2011     
     
Melencolia I, Dürer
Romanticismo, soggettività, sconfitta
Il germe della malinconia sta nel sentire di non avere nulla da perdere, o di aver già perso tutto. Oggi la liquidiamo con la parola depressione ed una terapia farmacologica, ma la malinconia è pessimismo cosmico, sentimento filosofico. 
(Mandereste Leopardi dallo psichiatra?)
Siamo soli, dice Lars. In un periodo in cui tutti vedono alieni dappertutto, lui ci ripete: siamo soli nell'esistenza. "I'm to said to tell you" diceva Bas, piangendo davanti alla camera. Soli, come il monaco di Friedrich davanti all'immensità del mare. Come Ader nella sua barchetta a vela in mezzo all'Oceano Atlantico. Come Leopardi nel suo Infinito. Come Claire (altra coincidenza) e il suo alter ego Justine (copywriter depressa...)  di fronte all'universo.
L'arte di concetto può essere romantica 
Il tentativo "scientifico" di misurare il pianeta Melancholia, con uno strumento non più rudimentale del nostro cervello, mi fa tornare a Bas Jan Ader che ripercorre Mondrian e il suo tentativo razionalista, per portarlo all'estremo fallimento. Cade, seppure in diagonale perfetta, ogni pretesa di quadrare il cerchio della vita. 
Si può rendere meno grave questa condizione, senza truffarla? Come si esce dalla malinconia? Leopardi ha trovato la Ginestra, che è un pò come la capanna di rami costruita da Justine. Solidarietà umana di fronte al non senso. Ader è partito "in cerca del miracoloso". Chissà se l'ha trovato. 

Melencolia è il titolo di una magnifica incisione di Dürer, che Ader reinterpreta in una sua fotografia. Mi torna in mente che io stessa l'ho utilizzata, sotto forma di inserti grafici, per le slides di una relazione all'università. Solo l'ennesima coincidenza. Sarà che la malinconia mi appartiene, ma oggi vedo Correspondances ovunque... almeno mi consola sapere di essere in buona compagnia! Buona vita gemelli di spleen.

martedì 8 gennaio 2013

Ceci n'est pas une performance



Weeks and Whitford a Palazzo Bembo
Venezia, Performance art week, 15-12-12
Hybrid body - poetic body












Una collana di cuori. Cuori di vacca su raso rosso.
Ma torniamo indietro (sulla soglia) a quell'odore. Vino, cannella forse. L'aria è pesante, dolce... appassita. 

 

Morsi di mela. 

Rose decapitate. 
Giorni di prigionia.

Si è consumato qualcosa qui...

-è sangue quello? 
Un rito d'amore? Fantasmi... i cuori sono fantasmi, eppure puzzano, grondano sangue -non me li immaginavo così i fantasmi. Però credo di sapere cos'è un cuore: è quella parte di me che ama e soffre, la parte goffa e pesante -un cuore più è grande, più è goffo e pesante. Lei se lo rotola sul petto, come fosse il suo orsacchiotto, ma non funziona, non passa. E lui nemmeno la guarda. Non resta che torturarlo, stritolarlo, macerarlo questo cuore, lanciarlo addosso a chi non vuol saperne: Lui.


Lui lavora. Lavora senza sosta. Lui porta le corna. Si sfrega il corno, lui. Un cerchio magico... il luogo sacro dove tutto ha inizio? Ma lei ne è fuori mentre infila i cuori trafitti.                                  Trofei.                                      Come teste d'animale imbalsamate sopra i caminetti. Cadaveri. Un massacro di tacchi a spillo. Pazza, diranno, masochista. Il rifiuto fa più male.
End
 Perché -a mio maldestro parere- quella a cui ho assistito non è una performance (da body art)? Parlo un pò a vanvera, perché non ho visto tutta la serie "wearing the horns", ma direi  perché non c'è vita vera ma rappresentazione simbolica. Un dramma progettato a tavolino, col quale né il pubblico, né il luogo interagiscono significativamente.  Non c'è pericolo di interferenza che non sia lo squillo di un telefonino. Non ci si assume nessun rischio. Certo i cuori sono reali, l'odore e poi il tanfo lo sono. Ma ecco, sembra più del teatro contemporaneo, con una scenografia barocca. 
Troppo artificio può nascondere la verità istintiva e innovativa del corpo. Non vi pare?
Ecco perché avrei voluto vedere lei a Venezia, ma mi è sfuggita!




domenica 21 ottobre 2012

ZEF

Zef secondo i Die Antwoord 
"Die antwoord are a fre$, futuristik, flame-throw-flow-freeking,
 zef, rap-rave krew from da dark dangerous depths of Afrika"

A quanto ho capito la parola zef è più o meno l'equivalente afrikaans di kitsch

I Die antwoord (in afrikaans: La risposta) sono un gruppo che ha decisamente saputo farsi notare. I tre (2 vocalist identificati e un produttore misterioso) vengono dal Sud Africa (un po' come tutti noi, visto che i nostri bis bis...bisnonni habilis e sapiens sapiens erano di lì). 

Quanto all'afrikaans (lingua in cui la band scrive, insieme all'inglese) è in un certo senso un pastiche linguistico che si è formato a partire da dialetti olandesi, il parto meticcio di un lungo processo di colonizzazioni.
La parola zef viene dalla contrazione di Ford Zephyr, l'auto più usata dalla classe operaia bianca tra gli anni '60 e '70 (per questo qualcuno la traduce con popolare o comune).
Ad ogni modo il termine, una volta preso in prestito dal gruppo, si è caricato di un'ulteriore valenza estetico-culturale, dando nome a un movimento, uno stile.
Zef is..
 Ninja: "South African slang term that describes a unique South African style which is modern and trashy and also includes out-of-date, discarded cultural and style elements"
Yolandi: "It's associated with people who soup their cars up and rock gold and shit. Zef is, you're poor but you're fancy. You're poor but you're sexy, you've got style."
Jack Parrow: "It's kind of like Posh, but the opposite of Posh"
un'ispirazione: la fotografia di Roger Ballen
Quello che colpisce dei Die antwoord non è (sol)tanto il genere musicale, quanto l'estetica nel suo complesso. Il loro zef è kitsch, freak,  pop, hip-hop, rave, street, hardcore, trash, fashion, horror, cartoon e chi più ne trova, più ne goda. 
I video sono davvero una componente essenziale dei loro brani, e infatti è il gruppo stesso a idearli.

Leon Botha (4 giugno 1986 - 5 giugno 2011)
In particolare Ninja non è solo un rapper e produttore attivo dal '95, ma anche un artista visivo. Ha codiretto molti dei videoclip, curando persino costumi, body painting e coreografie. Suoi anche graffiti e ambientazioni. Suo stretto collaboratore è stato l'artista connazionale L.E.O.N. (learning element of nature), presente anche nel video Enter the ninja, scomparso nel 2011 all'età "mentale" di 26 anni (era affetto dalla Progeria).
Evil boy




Cosa vi sembra questo zef? Banale postmoderno o un genuino local kitsch? Una controcultura o una montatura? Siamo così abituati al pubblicitario, che ormai tutto ci sembra fatto ad arte, artefatto. Ma certo è che il miscuglio (di culture, stili, lingue...) è la reale condizione contemporanea - del Sud Africa per motivi storici, ma anche di tutti noi che se non altro viviamo e ci nutriamo in rete.




Vi saluto con due riferimenti: 
1) Questa è l'opera che ha ispirato la scena della visita ginecologica di Lady Gaga in Fatty boom boomE` di un illustratore sudafricano, Anton Kannemeyer, anche lui non poco provocatore.


2) Visto che abbiamo già trattato di tatuaggi che hanno un senso (anche se poi questo blog viene trovato su google quando cerchi "tattoo ali d'angelo", che tristezza!) spendiamo due parole sui tatuaggi di Ninja. Guardatevi questo documentario sulla gang Numbers, girato in un carcere sudafricano. I tatuaggi del rapper ricalcano lo stile gangster (come se già non facesse abbastanza paura).


Piaciuto?

lunedì 21 maggio 2012

La prigione del corpo

Rieccoci. Dopo lunga assenza. Con un argomento peso!

Spirale di merda umana, dal film Hunger

La tradizione occidentale ha pensato a lungo il corpo come prigione/tomba dell'anima. E la prigione del corpo? Qui è di quella che si parla -ma poi non è la stessa? Che significa il carcere per il corpo, se partiamo da una prospettiva complessa (se rifiutiamo innanzitutto il dualismo mente-corpo)?

 [L'ho già fatta troppo pesante?!]




Cominciamo da qui, dall'idea che non c'è un corpovuoto-hardware né una menteastratta-software, e cerchiamo di lasciar emergere un'unica realtà: l'organismoviventenelsuoambiente. 

 Bobby Sands (M. Fassbender) si rolla la Bibbia
Banalizziamo: io sono anche il mio mal di denti. Il disordine di casa mia influenza il mio stato d'animo. Se per camminare uso un bastone, il mondo per me comincia all'estremità del bastone. Generalizziamo: Da dove vengono i primi concetti? Percezione, sensazione... comincia tutto con un corpo (sistema nervoso etc) che interagisce con un ambiente - tutt'altro che inerte -.

[Qual è il punto?]

Un pò di tempo fa sono andata al cinema a vedere Hunger, l'opera prima di Steve McQueen (non quello Steve McQueen, un altro). Ecco il motivo di tutta sta pippa. Mi è piaciuto ASSAI, ma niente recensioni... lo prendo come spunto. In questo film ci sono corpi dentro le prigioni. L'avevo detto che facevo un post sulle prigioni

J. Beuys, I like America and America likes me, 1974
Cosa c'è dentro il carcere di Maze? Non solo corpi, ma idee, non solo pensieri ma escrementi e sangue. C'è l'eredita della body art, delle performance più dure, di quelle che ti risvegliano a schiaffi dal sonno percettivo - avete presente Marina Abramovic? O l'azionismo viennese o Gina Pane o...? Le coperte dei detenuti mi facevano pensare persino al feltro di Beuys. 
Ma dentro al carcere di Steve Mc Queen, come in ogni carcere che si rispetti, c'è anche Foucault, c'è il corpo come strumento del potere, strumento da piegare al potere, il corpo bersaglio, passivo. E c'è Il corpo come strumento di lotta e resistenza al potere, il corpo arma, attivo. Un dispositivo ben più complesso e raffinato di qualunque macchina da presa. 

[Bam Bam di manganelli...]


Io mi sentivo angosciata e oppressa, tutt'a un tratto ero a carne scoperta, dopo una giornata da mummia, e il cinema era diventato un pò il mio carcere. Empatia. Recenti studi neuroscientifici sembrano dimostrare che anche la percezione "indiretta" di una sensazione esperita da altri, determina l'attivazione in noi delle stesse strutture nervose (neuroni specchio) coinvolte nell'esperienza in prima persona. Non la facciamo lunga, facciamo un esempio: guardare Lord Bean che scrive. Comprendiamo e ci gustiamo (o soffriamo) le azioni degli altri, un pò perché le "riviviamo" in noi, anche a livello di attivazione neuronale. Ebbene, l'arte arriva sempre prima - il teatro sull'empatia ci si fonda, oserei dire.


Attraverso lo sguardo di Steve McQueen assistiamo alla Passione di questo Cristo, bello come un dio, e maledettamente bravo. Esploriamo il suo interno, le sue secrezioni, la superficie della sua pelle che documenta sofferenza e tenacia. Sciopero dell'igiene, sciopero della fame, agonia, morte. Arte del corpo o della mente?  


Il punto è... quando riesci a raccontare una storia vera in tutta la sua crudezza e nudità, facendo emergere al contempo un mondo simbolico così vasto, sullo sfondo di una così personale e, diciamolo, elegante visione estetica... allora devi proprio essere quello che chiamano un artista!
E bisogna farsi spettatori totali, per un'opera d'arte totale. Ricominciando, forse, dai sensi?

[Nelle prigioni italiane il suicidio è la prima causa di mortalità tra i detenuti. Anche qui il corpo ci parla e la dice lunga.]


venerdì 25 novembre 2011

Spirito di Patate



Patate&Cipolle cerca anime di terra, 
amanti della cultura underground, dell’arte di strada, 
della creazione indipendente e delle idee politiche controcorrente.  

Se avvisti uno street artist interessante nella tua città, 
se sai di manifestazioni, occupazioni, movimenti, laboratori creativi nascosti, eventi non pubblicizzati, autori emergenti, mostre clandestine, album autoprodotti...

Scrivi qui quando vuoi e condividi la scoperta!

                                                                                
                                                                        Claire MP